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La percezione visiva nel cinema:
a scuola da Alfred Hitchcock

La percezione visiva studiata attraverso il cinema: lo studio di Levin e Baker che analizza il modo in cui gli spettatori amano essere ingannati

di Chiara Basciano
Già a fine Ottocento lo psicologo Hugo Münsterberg affermò che il cinema è un mezzo perfetto per sviluppare teorie psicanalitiche, in particolare per la sua capacità di organizzare una sequenza di immagini in modo creativo, capaci così di stimolare processi mentali in chi guarda. Fu lui, insieme ai registi Vsevolod Illarionovič Pudovkin e Lev Kuleshov, a vedere nel montaggio il modo migliore per indurre stati d’animo nello spettatore.
Il legame tra scienza cognitiva e cinema non è certo cosa nuova, e ultimamente sta vivendo una nuova stagione
Lo studio Collegamenti visivi nel cinema: uno studio dell’arte e della scienza della cognizione visiva, condotto da Daniel T. Levin e Lewis J. Baker, analizza nel dettaglio il contributo che il cinema può dare allo studio della percezione visiva. Il legame tra scienza cognitiva e cinema non è certo cosa nuova, e ultimamente, dopo anni infruttuosi, sta vivendo una nuova stagione. Lo studio infatti, analizzando nel dettaglio il modo in cui lo spettatore legge il linguaggio filmico, ne è un chiaro esempio, e ciò che più sorprende è la grande capacità di chi guarda il film di capire il montaggio in maniera intuitiva, cosa che riguarda non solo gli spettatori più navigati ma anche quelli più inesperti.
Come infatti è già stato dimostrato, una popolazione africana è stata in grado di leggere le sequenze filmiche senza problemi, non dando cioè peso ai tagli del montaggio. Lo spettatore è dunque propenso a farsi ingannare accogliendo una sorta di cecità che gli serve per capire quello che sta guardando. In questo contesto i dettagli perdono il loro peso in favore dell’evento in generale.
(…) un cambio di prospettiva o un vestito che cambia da una sequenza all’altra sono dettagli che non vengono notati
Grazie ad una serie di esperimenti, gli studiosi hanno scoperto che le incongruenze della pellicola vengono accettate a patto che non siano rilevanti, tanto che un cambio di prospettiva, o un vestito che cambia da una sequenza all’altra, sono dettagli che non vengono notati. Secondo Levin e Baker è il regista a guidare lo sguardo dello spettatore per mezzo dell’attore. Gli esempi presenti nello studio sono due in particolare. Il primo è in Intrigo internazionale (North by Northwest, 1959) di Alfred Hitchcock, che vede il protagonista, impersonato dal grande Cary Grant, guardare, nella celebre sequenza dell’aeroplano, verso una strada vuota con crescente interesse: questo porta lo spettatore, immedesimandosi nel protagonista, a domandarsi cosa stia guardando, e così come il bambino tende a seguire lo sguardo dell’adulto facendosi guidare da lui, allo stesso modo lo sguardo di Grant diventa il nostro.
Il secondo esempio è sempre tratto da un film di Hitchcock, Gli uccelli (1963). In questo caso, seguendo lo sguardo dell’attrice Jessica Tandy, si è in grado di dare un senso ad una scena grazie agli eventi descritti in precedenza: gli spettatori sono cioè capaci di fare previsioni sul futuro integrando le conoscenze sul passato. Quando l’attrice guarda le tazze rotte sapendo che sono stati gli uccelli a distruggerle in una scena precedente, questo crea suspense perché si teme che la scena già vista si ripeta. In questo modo il regista genera tensione, fornendoci dettagli utili a capire il contesto.
Altro aspetto interessante analizzato dallo studio è la volontà di creare modifiche della continuità percettiva in maniera volontaria. L’esempio più calzante in questo caso è il film Eternal Sunshine of the Spotless Mind (2004) di Michel Gondry (il cui titolo italiano è il non proprio azzeccato Se mi lasci ti cancello). La pellicola crea un’atmosfera particolarmente interessante proprio grazie ai cambiamenti presenti all’interno di una stessa sequenza, riflesso dello stato d’animo dei protagonisti. Gli attori che spariscono all’interno di una scena non sono altro che il modo migliore per sottolineare l’essenza del film, la volontà di dimenticare l’altro e di cancellarlo letteralmente dalla propria mente, garantendosi una mente senza macchie.
Volontà dello studio è dunque quella di esplorare la scienza cognitiva in relazione al cinema, non solo per comprendere il cinema stesso, ma anche per dare un contributo allo studio della cognizione visiva. Le applicazioni possono essere molto vaste e gli autori si augurano di allargarne ulteriormente gli orizzonti, ma lo studio punta lo sguardo in particolar modo sul valore del montaggio e sul modo in cui gli spettatori amano essere ingannati: d’altronde il cinema non è che un magnifico inganno.