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Tu chiamale se vuoi…emozioni! Un atlante dalla A alla Z

Dalla A alla Z una raccolta enciclopedica degli stati d’animo che caratterizzano la nostra esistenza

di Pasquale Allegro

“Identificare e dare un nome al nostro clima emotivo”, da queste poche parole strappate all’introduzione si coglie già il motivo dentro le pagine di Atlante delle emozioni umane. 156 emozioni che hai provato, che non sai di aver provato, che non proverai mai (pubblicato in Italia da Utet), un libro dall’approccio enciclopedico tutto particolare per il modo in cui racconta dell’uomo la storia delle sue emozioni, in lungo e in largo la letteratura e l’arte, la cultura e i destini, scienza, musica e visioni.

Ci sono infatti sensazioni che tutti noi abbiamo provato, stati d’animo precisi a cui però spesso non abbiamo saputo riferire un nome
Scritto con trasporto scientifico e leggerezza divulgativa – non semplicemente assemblato, tanti gli spazi di approfondimento dedicati alle diverse voci – dalla storica culturale Tiffany Watt Smith, studiosa di filosofia e di teatro nonché appassionata di neuroscienza, è un libro curioso, quasi una storia naturale della curiosità, che getta lo sguardo alle definizioni con cui le culture di tutto il mondo hanno imparato a nominare e descrivere le proprie emozioni. Ci sono infatti sensazioni che tutti noi abbiamo provato, stati d’animo precisi a cui però spesso non abbiamo saputo riferire un nome.
Questa raccolta pare restituirci storielle edificanti dietro ogni singola definizione, una dopo l’altra, in ordine alfabetico. Di più. Sono sfide. L’uomo è così fragile che non gli resta che la parola per esprimere il significato delle cose, e allora ne riconosce l’essenza e ne può indossare il carico di verità. Ci sono parole che chiamano le cose per abbracciarle e altre per sfuggirle, proprio come le emozioni ci strappano sorrisi e lacrime, salvano e inchiodano, irritano il sovrano che è in noi e ci liberano dalle nostre prigioni.
È vero che molto spesso ci rendiamo schiavi di noi stessi per debolezza, sensazione che ci rende incapaci di riflettere su cosa veramente ci serve o desideriamo, e un uomo che non riflette è un uomo che non pensa, è disumano. E ci sono parole nuove che possiamo dire solo oggi, per concedere un nome alle emozioni anche nei giorni del due punto zero: così la ringxiety, l’ansia da squillo, per cui ce ne andiamo sussultando dietro ogni trillo e bip; o la cybercondria, la versione cyber dell’ipocondria, per noi ardimentosi nel formulare diagnosi spulciando sul web.
Sfogliare queste voci (…) ci consente di osservare il giardino delle nostre vite prendere forma
Esposti come siamo alle vicende esistenziali, in questo compendio di emozioni possiamo trovare rifugio, attingendo a un gesto ordinato dietro all’apparente confusione delle cose; non è un gioco di parole, ma un glossario di scintille umane, per illuminare e modellare le proprie giornate, riconoscere i propri stati d’animo, il nostro modo di esserci qui e ora. Sfogliare queste voci, da quelle che definiscono le cosiddette emozioni universali, presenti in ogni uomo e in ogni cultura, come gioia, tristezza, paura, rabbia e disgusto, come nel cartone Inside Out in balia di palline colorate come nei giorni chiari o scuri, e che rappresentano per tutti il modo di abitare il mondo, ci consente di osservare il giardino delle nostre vite prendere forma.
Ci affacciamo sul mondo attraverso le emozioni, per capire noi e quello che ci accade intorno, perché la mente si arrende alla realtà e la realtà cede terreno; si imbattono nella nostra creatività, nelle idee che generiamo, il modo in cui immaginiamo il reale, lo abbracciamo e lo restituiamo. Questo è il parto della mente, che poi certo è anche la nostra risposta all’angoscia, questa emozione tanto forte che scorre in profondità, ci scaraventa dentro, frammentandoci finché non ci ricomponiamo e torniamo fuori, finché non tornano sguardo e sorriso, come quando si inventa – creatività come panacea – e si ricostruisce un mondo nel segreto della propria mente. E qui l’arte entra di diritto, pure Tolstoj la considerava una comunione di sentimenti. In una sorta di danza rituale, quelli che sembrano essere autoritratti tradiscono la volontà degli autori di mettersi in scena, di esporre le proprie esistenze. Sfidare il tempo e la morte, lasciare un ricordo.
E poi un’emozione per tutte: la felicità. Che sia la cosa più importante chi può negarlo. Regala attimi di intensa vita. La filosofia greca aveva risolto il problema fin troppo umanamente: suvvia, la felicità? dipende tutto da noi. Eppure siamo sempre in cerca di qualcosa, mai soddisfatti, quando invece dovremmo riappropriarci delle nostre giornate con acclarata serenità. A noi il compito di lasciare una traccia, un segno di quello che siamo e abbiamo voluto essere, tra momenti di rabbia e altri di gioia, tra mille sfumature infinite e digradanti: non esistiamo mica su questo schermo spiattellati come emoticon bidimensionali.

Tiffany Watt Smith, storica culturale, dal 2012 insegna Culture of Sleep presso la School of English and Drama all’università Queen Mary di Londra. Attualmente è ricercatrice presso il Centre for the History of the Emotions, dove si occupa di indagare la storia dell’imitazione compulsiva: dalla frenologia di epoca vittoriana ai più recenti studi sui neuroni specchio. Ha collaborato con “BBC Magazine”, “The Guardian”, “The New Scientist” e “BBC radio”.
TIFFANY WATT SMITH
Atlante delle emozioni umane
Editore: UTET
2017, 373 pag.
22,00 euro