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I sufi e le secolari danze rotanti: uno studio ne svela il segreto

Uno recentissimo studio, col preciso scopo di trovare una soluzione al fenomeno delle vertigini, svela dopo secoli il segreto dei dervisci rotanti

di Lavinia Alberti

Che diverse danze orientali, riuscendo a unire meditazione e bilanciamento, siano vere e proprie discipline bisognose di perfetto autocontrollo ed equilibrio è fatto abbastanza noto. In questo senso i Dervisci rotanti – i sufi appartenenti all’Ordine dei Mevlevì – ne sono una conferma. Si tratta di particolari forme di danze meditative che, se in un normale soggetto sano possono indurre dopo pochi minuti di pratica percezioni di vertigini e quindi una relativa perdita di equilibrio, nei praticanti sufi permettono di non percepirle, anche dopo ore.

Gli studiosi infatti hanno indagato sulla potenziale plasticità corticale dei danzatori sufi, ritenendo quest’ultima la principale responsabile di tale fenomeno
Com’è possibile tutto ciò? Com’è possibile che un sintomo come la vertigine possa non essere percepito in danze così impegnative e “vorticose”? A spiegarlo è uno studio avviato da alcuni ricercatori, pubblicato sulla rivista scientifica Frontiers in Human Neuroscience e dal titolo Un possibile ruolo di episodi di rottura prolungati sulla plasticità strutturale delle reti corticali e la percezione alterata della vertigine: la corteccia dei dervisci whirling sufi. Gli studiosi infatti hanno indagato sulla potenziale plasticità corticale dei danzatori sufi, ritenendo quest’ultima la principale responsabile di tale fenomeno.
In particolare i ricercatori hanno ottenuto delle immagini di risonanza magnetica di 10 dervisci rotanti (8 maschi e 2 femmine), effettuando 10 controlli con uno scanner 3T; infine hanno calcolato lo spessore corticale in tutta la corteccia degli individui in questione. Dai risultati è emersa la presenza di aree corticali più sottili in questi soggetti che non percepiscono il senso di vertigine; viceversa nei soggetti che avvertono in maniera evidente tale senso di precarietà, la corteccia prefrontale destra dorsolaterale, l’area visiva sinistra temporale intermedia e il gyrus fusiforme sinistro hanno uno spessore maggiore.
Un’importante scoperta dunque che, secondo quanto sostenuto dagli studiosi: garantisce il potenziale rapporto delle reti corticali relative alla percezione del movimento corpo e la durata prolungata della capacità di rotazione con o senza le vertigini”. Le danze rotanti dei dervisci mevlevì sono pratiche di meditazione prolungate, eseguite all’interno di cerimonie di culto nelle quali i dervisci mirano a raggiungere un equilibrio e una perfezione della propria fisicità (oltre che del proprio spirito) effettuando cerchi concentrici e ripetitivi che per questi danzatori altro non sono che un’imitazione simbolica della rotazione dei pianeti del sistema solare.
…i dervisci si esibiscono davanti a un pubblico presentando così una tradizione con oltre settecento anni di vita…
I sufi e i loro cerchi rotanti hanno dunque uno stretto legame col buddismo (il cui mandala ha un motivo circolare che racchiude altri cerchi) e col neo-platonismo (che paragona Dio a un cerchio); in tutti questi casi infatti, e in maniera specifica nella danza dei dervisci, il simbolismo costituisce la base della disciplina. Ciò che caratterizza questa danza è la particolare modalità con cui essa si manifesta: una performance di musica e danza che per evocatività e senso di sacralità che trasmette si avvicina a un vero e proprio rito religioso. In questa danza folle e vertiginosa (per tutti fuorché, come lo studio dimostra, per i sufi stessi che la praticano) i dervisci si esibiscono davanti a un pubblico presentando così una tradizione con oltre settecento anni di vita e che stupisce ancora oggi per la combinazione di sonorità e movenze, il che fa dei dervisci rotanti un’entità unica, irripetibile.
Alla luce dei risultati raggiunti da tale studio, in un futuro prossimo si aprirà una nuova era nel campo della terapia delle vertigini e non solo. Questo perché la stessa ricerca ha inoltre scoperto che tale pratica, sempre relativamente a determinate aree corticali, produce anche un miglioramento dell’umore e, dulcis in fundo, un potenziamento dell’attitudine relativa all’onestà. Chissà, infine, se ulteriori studi non scoprano che un tale assottigliamento corticale porti anche a una condizione esistenziale meno egoistica e a un aumento del livello di felicità. In attesa di diventare tutti un po’ più felici, nel dubbio, non resta che iniziare a sperimentare questa danza.