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Il “Cinema delle Ambasciate”: come condizionare la cultura di massa attraverso il cinema

Lo studio di Paul Moody analizza i documenti di WikiLeaks relativi alla pressione esercitata dalle Ambasciate americane per plasmare la percezione degli Stati Uniti

di Chiara Basciano
Che l’industria cinematografica di Hollywood abbia utilizzato le sue pellicole per plasmare la percezione della cultura americana nel mondo non è cosa nuova, il cinema, d’altronde, è sempre stato utilizzato come strumento di propaganda. Ma che tutto ciò sia stato fatto nel corso degli anni con l’appoggio e la spinta del mondo politico è risultato ancora più chiaro dopo la diffusione di alcuni documenti da parte di WikiLeaks.
L’intreccio tra industria cinematografica e politica appare inestricabile a cominciare dalla presidenza di Roosvelt
Lo studio Cinema delle ambasciate: quello che WikiLeaks rivela sul sostegno degli Stati Uniti ad Hollywood di Paul Moody della Brunel University di Londra, analizza proprio questa specifica volontà attraverso la documentazione diffusa dal sito di Assange. L’intreccio tra industria cinematografica e politica appare inestricabile a cominciare dalla presidenza di Roosvelt, ma se l’Office of Wartime Information, da lui fondato nel 1942, aveva più che altro una funzione di controllo, è con il Memorandum del Dipartimento di Stato americano, American Motion Pictures, del 1944 che viene specificatamente richiesto agli ambasciatori americani di fornire consulenza e assistenza agli studi di Hollywood, in modo da “garantire che le immagini distribuite all’estero riflettano il buon nome e la reputazione di questo Paese e delle sue Istituzioni”. In particolare è con il finire della Seconda Guerra mondiale che viene richiesto ad Hollywood un contributo attivo per diffondere l’immagine di un’America democratica e anti-comunista.
Eric Johnston, capo del settore commerciale del Motion Picture Association of America (MPPDA), diede un’ulteriore spinta a questo modo di operare, dando vita, nel 1945, alla Motion Picture Export Association (MPEA), responsabile della rappresentazione di Hollywood all’estero. Essendo presidente della Camera di commercio degli Stati Uniti, Johnston era una figura istituzionale e ciò dava maggiore credibilità alle azioni fatte per rendere i film di Hollywood specchio di ciò che si voleva arrivasse all’estero della cultura americana.
Victoria de Grazia (…) ha sottolineato come si potesse parlare di un impero americano basato sul consenso, un impero per invito, un impero del divertimento
Se questo modo di operare appare particolarmente sfacciato non bisogna pensare che col passare del tempo le cose siano cambiate: è solo la forma in cui il potere ha agito ad essere cambiata, senza intaccare per questo la sostanza. Nel periodo della Guerra Fredda, per esempio, Joseph Nye nel suo libro Bound to Lead, del 1990, spiega come si sia utilizzato un potere morbido, meno evidente, in cui la cultura americana è rimasta al centro dell’interesse, ma in maniera più sottile, essendosi già insediata nelle menti degli spettatori esteri e costituendo sempre di più un’attrattiva. Victoria de Grazia, Professor of History presso la Columbia University, nel 2005 ha sottolineato come si potesse parlare, nel periodo post bellico, di un impero americano basato sul consenso, un impero per invito, un impero del divertimento.
Le cose hanno apparentemente preso una piega diversa con l’amministrazione di George W. Bush. Le azioni militari in Afghanistan nel 2001 e in Iraq nel 2003 hanno portato al ritorno di quel potere forte che era stato momentaneamente accantonato, legittimato dagli attacchi alle Torri Gemelle: la strada presa da Presidente era quella del pugno di ferro. Accanto a questo modo di operare però sopravviveva il soft power, la propaganda fatta attraverso le pellicole hollywoodiane. WikiLeaks ha messo in evidenza proprio le scelte fatte per dare credibilità alle azioni americane in politica estera.
In Cina, per esempio, il consolato di Shanghai ha organizzato proiezioni di film americani nelle università di tutto il paese, seguite sempre da un incontro con un funzionario dell’ambasciata sulla società e la politica americana. L’obiettivo era contrastare i sentimenti anti-americani diffusi per il Paese. Lo stesso tentativo è stato fatto in Canada, luogo che agli occhi degli Americani stava diventando, nei primi anni del nuovo millennio, sempre più anti-americano e sempre più protezionista dal punto di vista culturale. Alcuni esempi di quanto preoccupava la politica americana sono dati da alcune serie televisive che trattano le problematiche relative ai confini: nel 2007 Little Mosque on the Prairie e nel 2008 The Border. La mini serie H2O si spinge ancora oltre, presentando uno scenario in cui Europa e Canada si uniscono nel tentativo di porre fine all’egemonia americana. A riguardo WikiLeaks rivela un documento americano che recita testualmente: “Dobbiamo fare tutto il possibile per rendere più difficile per i canadesi (…) vedere tutte le politiche statunitensi come il risultato di una burocrazia nefanda, secondo la quale gli Stati Uniti appaiono ansiosi di spremere il loro vicino settentrionale”.
Il fascino esercitato dalla cultura americana ha ormai convinto paesi come Iran e Arabia Saudita
Un Paese considerato strategico come la Bulgaria fu, secondo i dati di WikiLeaks, a lungo oggetto di interesse da parte della politica americana. La casa di produzione americana Nu Image vi operava già da qualche anno, ma nel 2005, con l’acquisizione della casa di produzione Boyana Film, divenne punto focale per la cultura di massa. Le trattative per tale acquisizione non furono facili, e ottennero in più fasi l’appoggio politico dell’Ambasciatore John Beyrle.
Dopo l’elezione di Barack Obama nel 2008, si è assistito ad un sottile ma deciso cambiamento nelle relazioni tra le Ambasciate e il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. Il fascino esercitato dalla cultura americana ha ormai convinto paesi come Iran e Arabia Saudita, in cui si registra, in questi anni, una larga diffusione di film e serie televisive. I documenti di WikiLeaks dimostrano come la pressione politica delle ambasciate stia dando oggi i suoi frutti, permettendosi di non dover più premere tanto come in passato. Il cambiamento culturale è assodato e gli Stati Uniti non sono vissuti, nella cultura di massa, come una minaccia, ma come luogo di benessere, emancipazione e libertà.