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Il teatro cura la depressione: dal Regno Unito un’importante conferma

Dal Regno Unito una cura capace di teatralizzare (e combattere) gli stati depressivi

di Lavinia Alberti
Malattia mentale e teatro. Sembrerebbero due poli opposti, almeno apparentemente. Molti infatti pensano che per fare teatro, per recitare e per imparare delle parti immedesimandosi nel personaggio occorra una mente perfettamente lucida e dotata di autoanalisi e consapevolezza di sé.
In realtà le cose non stanno esattamente così, o almeno non sempre. Non soltanto questi due elementi non sono in contrasto tra loro, ma addirittura l’uno (il teatro) può essere di grande aiuto per l’altro (la malattia mentale), e in alcuni casi utile quasi come un farmaco, con la differenza che la recitazione non dà effetti collaterali.
 
due monologhi, recitati da due soggetti con problemi, avrebbero portato i soggetti in questione a un miglioramento in termini di relazione e interazione col pubblico
Per molti scettici tutto ciò potrebbe sembrare un banale effetto placebo, frutto cioè dell’invenzione della mente umana, ma a dimostrare che non lo giunge oggi una coppia di ricercatori che, a seguito di uno studio su un progetto teatrale britannico pubblicato poi sul Medical Humanities Journal col titolo Intrappolato nel labirinto: esplorare la malattia mentale attraverso la perfomance teatrale elaborata, avrebbe scoperto come il teatro abbia degli impatti positivi, in taluni casi sorprendenti, su alcuni soggetti con problemi mentali.
In particolare due monologhi, recitati da due soggetti con problemi, (sviluppati e presentati dal Newman University Community & Applied Drama Laboratory – CADLab – presso il Midlands Arts Center di West Midlands nel Regno Unito), avrebbero portato i soggetti in questione a un miglioramento in termini di relazione e interazione col pubblico, e non solo. I due testi teatrali sarebbero stati presentati da due prospettive indipendenti: quella della persona che soffre di malattia mentale e quella del medico.
Grazie al gioco performativo, i partner (entrambi, ripetiamo, soggetti con problemi), condividendo le loro storie con lenti e punti di vista differenti, avrebbero nettamente cambiato il loro approccio reciproco e il modo di relazionarsi verso il mondo esterno.
Il primo beneficio è quello derivante dal miglioramento dell’autostima, e a seguire un rafforzamento dell’identità oltre che un miglioramento dell’etero percezione
Questi benefici secondo gli studiosi deriverebbero dunque dal fatto che il teatro, in quanto ambiente protetto e dispensatore di emozioni pure, grazie a queste ultime porterebbe ad un oscuramento della parte malata; non a caso l’emozione è il primo segnale che il nostro cervello riceve. Stando allo studio di questi ricercatori il lavoro artistico (comprendente momenti quali training fisico e vocale, memorizzazione, allestimento e ideazione scenica, stesura della drammaturgia, realizzazione dello spettacolo e gestione dell’emotività che ne deriva) rappresenterebbe dunque un importante strumento, sia in termini di prevenzione che di trattamento della sofferenza psichica; esso avrebbe insomma la capacità di tirar fuori competenze personali latenti che normalmente in questi soggetti vengono oscurate dalla vita di tutti i giorni. Il primo beneficio è quello derivante dal miglioramento dell’autostima, e a seguire un rafforzamento dell’identità oltre che un miglioramento dell’etero percezione.
Nonostante la ricerca scientifica abbia dimostrato in modo induttivo come col teatro laboratoriale si possa in parte migliorare la condizione psichica di questi individui, c’è chi ancora oggi, forse in modo legittimo sebbene influenzato da un approccio scientista, mostra scetticismo. Alla luce di ciò ci resta da chiedersi il motivo per cui nell’attuale panorama medico ci sia un’evidente difficoltà, o addirittura quasi un’impossibilità, di accedere a una visione alternativa del disagio mentale.